L'Orto dei Cappuccini fu realizzato nel 1595 sulla collina ad ovest dell’Anfiteatro romano. Il Convento dei frati possedeva una vasta estensione di terreno adibita ad orto per la coltura delle piante officinali, al cui interno si trovavano alcune antiche cisterne di epoca romana.
Da vico I Merello si accede nella vasta area denominata “Orto dei Cappuccini”. Dal 1595, i frati Cappuccini avevano fondato sulla collina ad ovest dell’Anfiteatro il loro primo convento sardo, dotato di un vasto terreno adibito ad orto, ed inglobando nei loro terreni alcune antiche cisterne. Il convento crebbe rapidamente, al punto che, nel 1649, includeva ben 65 celle per i frati, oltre alle cucine e al refettorio. La presenza di un lanificio, di un infermeria e di un vasto orto per la coltura delle piante officinali, era reso possibile solo grazie alla disponibilità di una grande quantità d’acqua, garantita soprattutto dalla presenza di un pozzo dentro al quale, grazie ad una complessa opera di canalizzazione idrica, confluiva l'acqua piovana. Il padre cappuccino Giorgio Aleo, autore di una famosa “Storia Cronologica di Sardegna” riferisce una notizia relativa alla pestilenza cagliaritana del 1656, che probabilmente riguarda il cisternone dell’Orto dei Cappuccini. L’Aleo scrive infatti che negli ultimi giorni di maggio del 1656 la mortalità a Cagliari era diventata così elevata, che non vi erano “fossori” a sufficienza per seppellire i morti. Di fronte al crescente numero di cadaveri insepolti il magistrato di sanità decise allora di far “tumulare” i morti in pozzi e cisterne: ed i morti del quartiere di Castello finirono “in un antico cisternone vicino ai Cappuccini”.
Nell'orto dei cappuccini, ora di proprietà comunale, si aprono varie monumentali cisterne scavate nella roccia calcarea, per lungo tempo attribuite a periodo punico. Si tratta, invece, di cave di blocchi aperte forse nel I-II secolo d.C., per la costruzione del vicino anfiteatro romano. Esse furono adibite a cisterne solo in un secondo tempo, una volta impermeabilizzate con il cocciopesto (un intonaco di calce mista a cocci triturati). La più ampia poteva contenere fino a un milione di litri d'acqua piovana, proveniente dall'anfiteatro attraverso un lungo cunicolo sotterraneo ancora percorribile. Varie prospezioni effettuate nel 1997 da Gruppo Speleologico Specus hanno consentito di appurare che la cavità subì già in passato un ulteriore riadattamento a carcere, come testimoniano le numerose anelle osservabili lungo le pareti, destinate al fissaggio delle catene. In corrispondenza di una di queste è stato scoperto un importante graffito paleocristiano, forse risalente agli inizi del IV secolo d.C. Si tratterebbe, secondo un'ipotesi, di un'immagine simbolica della Navicula Petri, la nave della chiesa, con l'albero della vela costituito da una croce monogrammatica e sul ponte i dodici Apostoli, "pescatori di uomini", schematicamente rappresentati nel salpare la rete. L'autore andrebbe probabilmente individuato in uno sconosciuto martire cristiano, detenuto prima di essere ucciso forse nei giochi dell'anfiteatro.