Li chiamavano ‘sos laribiancos’, ‘quelli dalle labbra bianche’: era il segno distintivo, inconfondibile, dei poveri di Arasolé, un paesino della Sardegna ai confini con le foreste del Goceano. Sos laribiancos si riconoscevano subito: mangiavano poca carne, pochi carboidrati, poche proteine. Mangiavano troppo poco.
Francesco ‘Cicitu’ Masala, nel suo romanzo-capolavoro, mostra gli effetti devastanti e osceni di chi non ha pane per sé e per i propri figli e gli effetti devastanti e osceni di tutte le guerre, in particolare della sciagurata campagna italiana in Russia cui lo stesso autore prese parte.
Nel 1998 Cicitu mi manifestò il desiderio di vedere in scena i personaggi del suo romanzo in una versione sardo logudorese. Gli risposi che mi sarebbe piaciuto provare a narrare la vicenda nel modo più semplice, senza scenografie, alternando lingua sarda e lingua italiana. Da allora lo spettacolo fa parte del nostro repertorio…
"Dove possibile ho cercato di lasciare inalterata la suggestione poetica delle parole dell’autore. Allo stesso tempo, spero con il giusto rispetto, ho dovuto scegliere, aggiungere, assemblare, tradire".
Pierpaolo Piludu
"Raccontare storie per non essere raccontati. Raccontare per primi, prima che qualcuno possa raccontarti. I figli di Arasolè parlano dei loro padri come se questi fossero i padri di tutti noi. Un gruppo di ragazzi va in guerra e di questi uno solo fa ritorno; ma finché qualcuno li avrà nei suoi ricordi, le loro storie continueranno a correre; finché Culubiancu una volta all’anno suonerà le sue campane, le loro voci dai viottoli di Arasolé si spanderanno nell’aria fino a raggiungere il tetto del cielo. Il teatro si muove, non resta mai fermo; le stesse opere teatrali rappresentate in tempi e contesti diversi danno prodotti differenti. Nella nostra messa in scena il testo di Francesco Masala, Quelli dalle labbra bianche, diventa un grande racconto e nella sua epica prende forma non solo il disagio di ieri, ma anche la “condizione” di oggi. L’attore/narratore assume in sé tutte le vicende e i volti di quegli uomini per ridarci, nel sorriso della rappresentazione, delle vite che paiono infinite".
Giancarlo Biffi
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