Si apre la stagione di Teatro Senza Quartiere 2025-2026 organizzata dal Teatro del Segno al TsE di Is Mirrionis a Cagliari, con la direzione artistica di Stefano Ledda e con il patrocinio ed il sostegno della Regione Autonoma della Sardegna e il patrocinio del Comune di Cagliari, e con il contributo della Fondazione di Sardegna. Si tratta di dodici titoli in cartellone fra testi contemporanei e classici del Novecento per una riflessione sulla condizione umana.
Un inedito ritratto dello storico segretario del Partito Comunista con “Enrico (poi Berlinguer)”, uno spettacolo ideato, diretto e interpretato da Ignazio Chessa, con scene e costumi di Marco Velli e consulenza musicale di Claudio Gabriel Sanna, il video “Non B’at Nemos” è di Bruno D’Elia, direzione tecnica di Serena Vargiu, produzione La Luna del Pomeriggio ETS. Figura di spicco della politica italiana, artefice con Aldo Moro del cosiddetto “compromesso storico” e uomo dotato di brillante intelligenza e straordinario carisma, capace di conquistare le folle, Enrico Berlinguer, rappresenta il simbolo di una visione idealistica e altamente morale e e di uno strenuo impegno in favore del bene comune. “Enrico (poi Berlinguer)” è un viaggio emozionale attraverso i momenti più significativi della vita pubblica e privata del leader della sinistra, «dalla rivolta del pane a Sassari, sua città natale, al primo incontro con Togliatti, dalle feste dell’Unità nei più sperduti paesini di campagna al distacco dal P.C.U.S., dalla citazione delle frasi più significative dei suoi discorsi ai funerali a Roma, con una immensa folla a rendergli omaggio».
Sulla falsariga della preziosa antologia “Miele Amaro”, affascinante spettacolo-concerto di e con Stefano Ledda (che firma drammaturgia e regia), liberamente tratto dall'opera di Salvatore Cambosu, con musiche di Andrea Congia, propone un ideale itinerario alla scoperta di una Sardegna arcaica, sospesa tra passato e futuro – produzione Teatro del Segno e Tra Parola e Musica / Casa di Suoni e Racconti. “Miele Amaro” mostra attraverso una apparentemente eterogenea raccolta di materiali antropologici e storici, tra miti e leggende, racconti e poesie, i mille volti e le molteplici stratificazioni culturali di un'Isola, tra l'antica civiltà agro-pastorale e la modernità. La voce narrante di Stefano Ledda evoca favole antiche e interessanti apologhi, saperi tradizionali, usanze e riti, l'arcana bellezza di paesaggi incontaminati: il libro dell'intellettuale e scrittore di Orotelli sposa il gusto per l'erudizione e il sincero amore per la sua terra. In “Miele Amaro”, Salvatore Cambosu si fa cantore dell'identità perduta, con l'affermarsi di nuovi modelli estranei e di una egemonia linguistica, che rischia di cancellare la matrice originaria e spezzare il legame con le radici.
Un divertissement (meta)teatrale con “A Colpi di Scene”, di e con Laura Fortuna e Daniel Dwerryhouse, tra dialoghi surreali e veri e propri sketches, dai testi di Achille Campanile, per la regia di Francesco Bonomo – produzione Collettivo Amori Difficili e Compagnia Çàjka ETS con il sostegno della Fondazione “Giuseppe Siotto”. Un attore e un’attrice si sfidano tra vertiginosi giochi di parole e nonsenses, in un “duello” fatto di «inversioni, parodie, capovolgimenti, ripetizioni... pantomime e assurdità», in un susseguirsi di ingressi e uscite, cambi di ruolo, e sfide dialettiche. Una scrittura scenica rigorosa e una comicità raffinata, fondata sul ritmo, dove le intonazioni, i gesti, gli sguardi e le “maschere” danno forma ai “fantasmi” di un teatro dal gusto vagamente retro, che «potranno aiutarci a interpretare il presente e a interrogarci sulla follia delle relazioni umane e di coppia, senza mai dimenticarci di riderci su» – sottolinea Francesco Bonomo –. «Ridere è rivoluzionario. Prendere seriamente la vita significa anche ridere, perché ridere è una cosa seria». Achille Campanile ha descritto con umorismo e leggerezza i paradossi della società: “A Colpi di Scene” è un' occasione per sorridere e pensare.
Focus sulla dipendenza da gioco d'azzardo con “GAP / Gioco d'Azzardo Patologico - rovinarsi è un gioco”, uno spettacolo ideato, scritto, diretto e interpretato da Stefano Ledda, con elaborazione video di Andrea Lotta, trucco di Evelina Bassu, responsabile allestimento Raimondo Marras – produzione Teatro del Segno. Una pièce originale, ispirata alle storie (vere) di donne e uomini precipitati nella spirale del gioco, sedotti dal miraggio di una facile vincita, ma in realtà incatenati al sottile brivido del rischio, al piacere di sfidare la fortuna. “GAP” racconta la vicenda emblematica di un giocatore di videopoker, un giovane tipografo che scopre per caso, mentre cerca di ingannare l'attesa, l'ebbrezza di una vincita inaspettata e si lascia sedurre da quell'innocuo passatempo, divenuto ben presto per lui come una droga. Schiavo del demone del gioco, inizia la sua discesa agli inferi, tra inganni e menzogne, trascura il lavoro gli affetti e finisce con l'indebitarsi e chiedere soldi a prestito dagli usurai, nel tentativo di mascherare il suo “vizio”, che in realtà è una vera e propria patologia. Una mise en scène essenziale, con luci e suoni che riproducono l'effetto ipnotico delle slot machines, per un viaggio nella mente di un giocatore.
Un inedito ritratto di famiglia con “Oja, o Ma'”, liberamente tratto da “Mia madre e altre catastrofi” di Francesco Abate, con traduzione in lingua sarda di Cristian Urru: in scena Rossella Faa e Fabio Marceddu, con elaborazioni e incursioni musicali di Antonello Murgia, adattamento e regia di Fabio Marceddu, in collaborazione con Antonello Murgia – produzione Teatro dallarmadio. La pièce descrive il dialogo (in)interrotto tra madre e figlio, mettendo in risalto la figura di una donna coraggiosa e determinata, autorevole più che autoritaria, comunque temibile, severa e rigorosa, affettuosa, ma senza sdolcinatezza: incarnazione di un archetipo dell'immaginario, versione moderna dell'angelo del focolare, punto di riferimento costante e irremovibile, una vera forza della natura. «Tornare alla lingua Madre per parlare della Madre per eccellenza» – sottolineano Fabio Marceddu e Antonello Murgia – è il tema centrale della versione teatrale del libro del giornalista e scrittore cagliaritano: “Oja, o Ma'” racconta «la Madre Sarda, nella sua variante casteddaia, una madre granitica e ironica, che non si fa schiacciare dalle sofferenze e dal destino che a volte infierisce, ma che anzi lo domina come una tigre, insegnando ai più deboli a diventare più forti».
Vita e arte di Giacomo Puccini con “La cameriera di Puccini” di Nicola Zavagli, con Beatrice Visibelli e Francois Meshreki, costumi di Cristian Garbo e musiche dal vivo con pianoforte e soprano, per la regia di Nicola Zavagli – produzione Teatri d'Imbarco. Un giornalista si reca presso la villa di Torre del Lago, per intervistare il Maestro ma si imbatte in Marianna, la cameriera che dapprima lo tratta in malo modo poi finisce per accoglierlo e rivelargli alcuni dettagli della sfera privata e professionale del grande musicista. Un insolito ritratto del compositore, attraverso lo sguardo di chi lo conosce da vicino, «dall’emozionanti storie delle sue opere alle pieghe più intime della sua vita; ma anche il suo essere mondano, la sua simpatia, e quella sua dolorosa malinconia che si riflette nella calma immobilità del piccolo lago». Nel racconto affiora anche la vicenda misteriosa e inquietante della tragica scomparsa di Doria Manfredi e delle indagini in cui vennero coinvolti anche il maestro e la moglie. Un'occasione per riscoprire la figura dell'autore di capolavori indimenticabili, come “Manon Lescaut”, “La Bohème”, “Tosca”, “Madama Butterfly”, “La fanciulla del West” e “Turandot”.
Una raffinato gioco metateatrale con “Sei Personaggi in cerca d'Autore” di Luigi Pirandello, con Adriano Exacoustos, Daniele Molino, Irene Papotti e Nicolò Parodi, con scenografia di Giada Morri e costumi di Sonia Marianni, per la regia di Cristiano Roccamo – produzione Teatro Europeo Plautino. Il grande drammaturgo siciliano inventa un incontro tra il capocomici e le attrici e gli attori di una compagnia e le creature nate dalla fantasia di un autore ma rimaste incompiute, che anelano a veder rappresentato il loro dramma: i personaggi narrano e rivivono la loro storia, i loro dilemmi e i loro traumi, fino a un tragico incidente. Una vicenda amara e dai risvolti torbidi: un uomo, il Padre, allontana da sé la moglie, ma poi a distanza continua a spiarne l'esistenza, e intanto alleva il figlio, senza riuscire a suscitare in lui un vero affetto. E la donna, anzi la Madre, privata del figlio, si forma una nuova famiglia, finché, in una fatale agnizione, il Padre incontra in una casa di piacere la propria Figliastra, innescando così una spirale di tormento e sensi di colpa. Nei “Sei Personaggi” Luigi Pirandello mette l'accento sullo scarto tra realtà e finzione, sul tentativo, arduo se non impossibile, di ricreare sul palco la vita nella sua terribile imperfezione, cioè sul paradosso del teatro (e sulla forza evocativa della poesia).
Omaggio a Gigi Riva, tra l'epopea sportiva e il ritratto di un “hombre vertical” divenuto simbolo di un'Isola con “Riva Luigi ’69 ’70 – Cagliari ai dì dello scudetto”, uno spettacolo scritto, diretto e interpretato da Alessandro Lay, progetto sonoro di Matteo Sanna, disegno luci e suoni di Giovanni Schirru e scenografie di Mario Madeddu, Marilena Pittiu e Matteo Sanna – produzione Cada Die Teatro. Un intrigante monologo in cui si intrecciano note autobiografiche e cronache calcistiche, tra ricordi d'infanzia e ferite immedicabili e dove le tragedie private e i trionfi sul campo un eroe moderno, dotato di uno straordinario talento per il pallone riaffiorano come per caso, finché la bellezza di un gesto atletico suscita l'emozione di un'opera d'arte. «Il gioco del football è un “sistema di segni”; è, cioè, una lingua, sia pure non verbale. La sintassi si esprime nella “partita”, che è un vero e proprio discorso drammatico» – sosteneva Pier Paolo Pasolini –. «... Riva gioca un calcio in poesia». E Alessandro Lay, riconoscendosi in quell'intuizione, e partendo dal ricordo di «un ragazzo schivo, a volte sorridente... che puntava i pugni in terra e si faceva tutto il campo correndo ogni volta che segnava un gol…» ricostruisce la storia emblematica del leggendario “Rombo di Tuono”.
Cronaca di una strage con “Sangue Nostro”, uno spettacolo scritto da Michela Gargiulo, Margherita Asta e Fabrizio Coniglio (produzione Tangram Teatro) sul fallito attentato contro il giudice Carlo Palermo, ordito da “Cosa Nostra”, in cui hanno perso la vita una donna, Barbara Rizzo e i suoi due bambini, Giuseppe e Salvatore: in scena Alessia Giuliani e Fabrizio Coniglio, che firmano anche la regia, ricostruiscono l'incontro tra il magistrato e Margherita Asta, figlia e sorella delle vittime. Una tragedia moderna in cui la criminalità organizzata assume il ruolo del fato, assassinando persone innocenti e seminando dolore e lutti, nel tentativo di colpire i simboli del potere e della giustizia: sopravvissuto all'agguato, Carlo Palermo ha lasciato la magistratura per intraprendere la carriera d'avvocato oltre a impegnarsi in politica. Margherita Asta, che in quel fatale 2 aprile 1985 invece di viaggiare in auto con la madre e i fratellini aveva chiesto un passaggio a un'amica, è riuscita a trovare la forza per andare avanti: la sua storia è diventata un libro, “Sola con te in un futuro aprile” (Fandango), in cui cerca di ricordare i dettagli, di ritrovare le voci e i volti dei suoi cari e riannodare i fili del passato. “Sangue Nostro” è uno spettacolo necessario, una pièce di teatro civile per non dimenticare le vittime e proseguire una battaglia fondamentale contro le mafie in difesa della legalità.
Ironia in scena con “Passo e Chiudo”, brillante one-woman-show di e con Marta Proietti Orzella, accompagnata da Luca Pauselli alla chitarra, produzione Figli d'Arte Medas: sotto i riflettori la nota attrice isolana dalla spiccata vis comica interpreta celebri monologhi, alternando racconti e canzoni, evocando sulla scena una serie di personaggi, veri e inventati, e situazioni buffe e paradossali, ai limiti del grottesco. “Passo e Chiudo” è un raffinato esercizio sull'arte di far (sor)ridere, traendo spunto dai grandi maestri, da Ettore Petrolini e Raffaele Viviani a Totò, da Aldo Fabrizi e Gigi Proietti a Monica Vitti e Anna Magnani fino a Carlo Verdone e Anna Marchesini, senza dimenticare Giorgio Gaber, che hanno fatto dato lustro alla grande tradizione del cabaret, dal café chantant al varietà. Una performance in cui Marta Proietti Orzella propone una serie di irresistibili e sorprendenti conversazioni telefoniche, dove i protagonisti si mettono a nudo dialogando con invisibili interlocutori, si struggono, si appassionano, si interrogano e si sfogano, tra questioni private, dilemmi morali e pericolose indiscrezioni, dando prova del suo talento istrionico, con gustose macchiette, ritratti di donne “sopra le righe” e ruoli en travesti, per regalare al pubblico un'ora di spensieratezza.
Tra mito e attualità con “Come vent'anni fa”, con Tiziana Martucci, costumi di Marco Nateri e scenografia di Valentina Enna, musiche di Bob Dylan e musiche originali di Mauro Palmas, arrangiamenti musicali di Riccardo Leone (direzione tecnica di Lele Dentoni) per un intrigante gioco di specchi tra vita e arte, con drammaturgia e regia di Lelio Lecis – produzione Akròama / Teatro Stabile d'Innovazione. «Una donna sola, malinconica e visionaria, ripercorre con le parole situazioni personali, sospese in un’atmosfera per lei stessa indecifrabile, di realtà o pura invenzione»: in una ipotetica prova, su una scena vuota in cui spicca l'eventuale “trono”, un'attrice (ma anche commessa in una polleria) mescola frammenti di uno spettacolo ai suoi ricordi. Un sontuoso manto la avvolge e subito si trasforma in Ecuba, sposa di Priamo e regina di Troia, ora vedova e ridotta in schiavitù insieme alle figlie, che lancia le sue grida strazianti di dolore tra le rovine fumanti della città distrutta. Un movimento in platea la distrae e la donna ritorna se stessa, perduta tra le memorie del passato e le angosce del presente, riconosce o immagina un antico spasimante, unico, eventuale spettatore della sua performance, insieme all'invisibile tecnico che governa le luci: in un alternarsi e intrecciarsi di piani narrativi, il lirismo della tragedia euripidea lascia il posto al disincanto e all'amarezza del quotidiano, in una pièce che riflette «le nostre frammentazioni e solitudini metropolitane».
La tua recensione sarà visibile dopo approvazione dalla redazione.
Per inserire una recensione devi essere un utente autenticato.
Esegui accesso con Social Login